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martedì 30 settembre 2008

CATTURA ANIDRIDE CARBONICA

TORONTO - Potrebbe essere un rimedio all'effetto serra e ai problemi energetici la nuova scoperta messa a punto dai ricercatori dell'Universita' di Calgary. Il team di studiosi, coordinato dal direttore dell'Istituto per l'Energia sostenibile David Keith, ha infatti messo a punto una macchina in grado di catturare l'anidride carbonica, separandola dall'aria grazie all'ossido di sodio che l'assorbe. In un esperimento condotto la scorsa estate il macchinario, simile a un grosso telescopio, avrebbe intrappolato le emissioni di anidride carbonica presenti all'esterno dello stadio McMahon di Calgary. La macchina consuma relativamente poca energia e l'anidride carbonica potrebbe essere riutilizzata come energia alterativa al petrolio o al gas o come ingrediente per i combustibili. Ricerche su tecnologie simili sono in corso anche alla Columbia University a New York City e al Lawrence Livermore National Laboratory in California.

lunedì 29 settembre 2008

pannello solare per elettricità e acqua

PANNELLI SOLARI PRODUCONO ELETTRICITA' E ACQUA
(ANSA) - SYDNEY - Scienziati australiani hanno creato una nuova generazione di pannelli solari, che producono elettricita' e acqua calda allo stesso tempo, con il potenziale di dimezzare il costo di conversione di un edificio all'energia solare. I pannelli, sviluppati da ricercatori dell'Universita' nazionale di Canberra, consistono di sottilissimi canali con superficie a specchio. Gli specchi, spiega il responsabile del progetto Igor Skryabin del Collegio di ingegneria dell'ateneo, concentrano i raggi del sole su una striscia che percorre i canaletti e produce elettricita'. La striscia contiene anche acqua trattata, che sotto il sole si riscalda. Il calore viene poi incanalato nel sistema di scalda-acqua dell'abitazione.

Un'installazione di media grandezza, precisa Skryabin, puo' fornire acqua calda sufficiente per un'unita' familiare, e se l'abitazione e' efficiente in termini di energia, puo' alimentarla per una proporzione che va da meta' a due terzi del fabbisogno. Al progetto detto ''due in uno'' partecipano, insieme al governo australiano che ha finanziato la prima fase di ricerca, l'universita' di Tianjin in Cina e la compagnia della Silicon Valley Chromasum.

Finora le famiglie di tendenze ambientaliste in Australia dovevano installare separatamente scalda acqua solari e pannelli solari per l'elettricita', per un costo medio pari a circa 9600 euro, una spesa eccessiva per molti. Con il nuovo sistema due in uno', il costo sarebbe dimezzato, dato che l'elettricita' e l'acqua calda vengono generate simultaneamente. I ricercatori hanno installato un sistema sperimentale di larga scala sul tetto di un edificio dell'universita', e hanno sviluppato un prototipo di dimensioni adatte per un'abitazione media. Il prossimo passo sara' di commercializzare il progetto, ha detto Skryabine, e di trovare la maniera meno costosa per la produzione di massa.

giovedì 25 settembre 2008

ENERGIA NUCLEARE: VUOI PAGARE MENO??? VENDICI LA TUA SALUTE E LA TUA SICUREZZA

25 settembre 2008
Il ministro per lo sviluppo economico Claudio Scajola ha elevato oggi a pieno titolo Genova quale «capitale del nucleare» in Italia. A leggere l’intervento del ministro, trattenuto a Roma per la vicenda Alitalia, è stato delegato il deputato del Pdl Michele Scandroglio ad una tavola rotonda organizzata nell’ambito del congresso nazionale della Società italiana di fisica, alla quale ha preso parte, tra gli altri, lo scienziato Antonino Zichichi, l’ad di Ansaldo Energia Giuseppe Zampini, ed il presidente di Enea Luigi Paganetto. «Questa splendida città - ha scritto Scajola nel primo passaggio del suo discorso - col suo tessuto produttivo fortemente specializzato nei settori a più alta tecnologia, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), la sezione regionale dell’Istituto nazionale di fisica nucleare, la presenza di aziende storiche come Ansaldo Energia e Ansaldo Nucleare, può ormai considerarsi a pieno titolo la `capitale del nucleare´ in Italia»

PRIMA PIETRA NEL 2013
Arrivare alla «posa della prima pietra del nucleare entro il 2013»`. E´ questo l’intendimento ribadito da Scajola in una lettera-intervento ad una tavola rotonda nell’ambito del congresso della Società italiana di Fisica. Parlando del «rinascimento del nucleare», nel suo documento il ministro ha affermato anche la volontà di «ridefinire criteri di compensazione a favore delle comunità che ospiteranno siti nucleari». Secondo quanto si legge in un passaggio dell’intervento, «entro la fine dell’anno» saranno definiti «i criteri per la localizzazione dei siti» e sarà istituito «un organismo preposto alla sicurezza in campo nucleare». Parallelamente saranno «definite le procedure di autorizzazione degli impianti, secondo logiche che garantiscano certezza dei tempi, finanziabilità dei progetti, protezione dell’ambiente, tutela della salute dei lavoratori e delle popolazioni interessate».

«Ridefiniremo anche i criteri di compensazione - aggiunge - a favore delle comunità che ospiteranno siti nucleari, nella convinzione che sia necessario assicurare benefici concreti direttamente ai cittadini ed alle imprese, in termini di sconti sul costo dell’energia e rilancio delle economie locali».
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Come è possibile che questo governo continui a fare proggetti senza interrogare la popolazione???

Poi, visto che SECONDO LORO NON CI SONO PERICOLI, DI CHE DEVONO COMPENSARE LE COMUNITA' CHE OSPITERANNO I SITI NUCLEARI????

SPERO PER LORO CHE TROVINO GENTE CHE METTE UN PREZZO ALLA PROPRIA SALUTE PER QUANTO MI RIGUARDA IO PENSO CHE SE LORO FACESSERO MENO INTRALLAZZI E PRENDESSERO UNO STIPENDIO ONESTO PAGHEREMMO DI MENO TUTTI O PER LO MENO LA DIFFERENZA DEI SOLDI CHE AVANZEREBBE SI POTREBBE USARE PER INCENTIVARE FONTI DI ENERGIA PULITA, NON PERICOLOSA E INESAURIBILE, TUTTE CARATTERISTICHE CHE MANCANO ALL'ENERGIA NUCLEARE.......

domenica 21 settembre 2008

Microbial Fuel Cell : batteri che producono energia elettrica

Energia elettrica dai batteri. Grazie all’uso delle Microbial Fuel Cell (MFC). Questa tecnologia è stata oggetto di un convegno organizzato da Enea al Parlamento europeo per valutarne le potenzialità nel campo delle energie a basse emissioni. Le pile a combustibile microbiologica funzionano con i batteri che trasformano l’energia chimica in energia elettrica. Una pila microbiologica è costituita da un compartimento anodo e uno catodo separati da una membrana semipermeabile. Nel compartimento dell’anodo il combustibile – zuccheri, materiale organico di scarto e acque reflue – viene ossidato dai microorganismi, generando elettroni e protoni. Gli elettroni vengono poi trasferiti al catodo attraverso la membrana. Dalla parte del catodo viene aggiunto ossigeno che attrae gli elettroni e i protoni producendo acqua (vedi schema in alto). L’Italia, ha spiegato la dottoressa Pierangela Cristiani del Cesi Ricerca, nel campo delle MFC è stata fin dall’inizio uno dei pionieri e ha un’esperienza che, a livello mondiale, è tra le più all’avanguardia. Il Cnr insieme all’Enel ha già brevettato da tempo una MFC come sensore mentre non si è mai pensato allo sfruttamento della nuova tecnologia per produrre energia. Per il momento, infatti, le celle combustibili a batteri non permettono di raggiungere una potenza elevata. Ora però potrebbe essere arrivato il momento di mettere a punto sistemi più potenti. L’Italia è preparata per questa sfida. Ma è necessario muoversi subito per non perdere il treno dove sono già saliti statunitensi, coreani e australiani. Tra gli ostacoli da superare indicati al convegno di Strasburgo ci sono, ad esempio, i bandi del Settimo programma quadro della Commissione europea, ideati in modo da non comprendere i progetti di ricerca delle MFC.

sabato 20 settembre 2008

Mappa del nucleare in Italia

Le centrali nucleari sono chiuse dal 1987, eppure in Italia ci sono: 53 mila metri cubi di rifiuti nucleari, quanto un palazzo di sessanta piani. La verità è che più che chiuse le centrali sono in stato di «custodia protetta passiva», dunque continuano a produrre ogni anno una certa quantità di rifiuti radioattivi. A questi vanno aggiunti altri 2mila metri cubi di rifiuti radioattivi, di origine medica e sanitaria, o creati durante le attività di ricerca o simili, e poi rottami metallici, vecchi quadranti luminescenti, parafulmini.
Cerchiamo di capire dove sono. Il rapporto di Legambiente risale al 1999 ma è ancora valido. Il primo nome citato è il Centro Enea di Rotondella, conosciuto anche come «Trisaia», in provincia di Matera dove a quasi trent’anni dall'avvio del programma, si trovano ancora 2,3 metri cubi di rifiuti liquidi mai solidificati nonostante le ripetute richieste degli organi competenti. I rifiuti, oltretutto, sono contenuti in strutture metalliche di acciaio e carbonio che ormai non sono più in grado di garantire la tenuta. Il centro di Trisaia ospita anche 64 elementi di combustibile irraggiato, attualmente sospesi in una piscina di stoccaggio, circa 3 metri cubi di prodotto fissile e fertile (uranio e torio), 14 container di rifiuti biomedicali; dagli anni Sessanta è la sede dell’unico cimitero di rifiuti nucleari esistente in Italia, quattro fosse in cui sono stati accumulati rifiuti solidi radioattivi ad alta attività (pari a circa 100 curie) contenenti cobalto 60, Cesio ed altri radionuclidi. I rifiuti sono stati cementificati e le fosse ricoperte con uno strato di bitume.
Durante l’attività le centrali nucleari hanno prodotto 1916 tonnellate di combustibile esausto, 328 delle quali sono ancora stoccate in Italia presso gli impianti di Caorso e Trino e la vasca del reattore di ricerca Avogadro a Saluggia. Quello di Saluggia è un deposito particolarmente a rischio, si trova sulle sponde della Dora Baltea, a due chilometri dalla confluenza con il Po, sopra le più importanti falde acquifere del Piemonte: nessuno può immaginare che cosa può accadere in caso di alluvione. Ci sono poi la centrale del Garigliano in provincia di Caserta dove è in funzione un impianto per il recupero e la solidificazione di liquidi e fanghi prodotti in passato e stoccati, e quello di Casaccia nel Lazio dove opera un impianto per l'estrazione di particelle alfa dei rifiuti del plutonio in modo da diminuirne la radioattività. Coperte da segreto militare sono tutte le informazioni sulla centrale nucleare della base di Pisa, ma è presumibile che rifiuti siano conservati anche lì.
Ai depositi delle centrali vanno aggiunti i depositi pubblici e privati delle scorie create dagli ospedali, non sempre del tutto in linea con le norme di sicurezza stabilite dalla legge. Secondo i dati raccolti dal Servizio di prevenzione sanitaria della Regione Lombardia, ad esempio, in un solo anno (tra il giugno 1997 e il giugno 1998) le aziende sanitarie lombarde hanno rilevato più di 100 carichi di rottami metallici radiocontaminati, quasi tutti in provincia di Brescia, evidentemente sfuggiti ai controlli doganali. Nel 55% dei casi l'oggetto radioattivo era costituito da materiale metallico radiocontaminato, nel 17% dei casi da vere sorgenti radioattive e nel 18% dei casi da quadranti di strumenti. In alcune sporadiche occasioni sono stati ritrovati parafulmini radioattivi e rilevatori di fumo. E poi vanno contati resine, fanghi, rifiuti attivi secchi, rifiuti solidi o liquidi in attesa di trattamento.
C’è poi un ulteriore quantità di materiale radioattivo su cui si hanno poche informazioni, quello proveniente dai traffici illeciti. Il rapporto di Legambiente ricorda che nel periodo 1996-1998, in particolare, risultavano entrati 2 milioni e 260mila tonnellate di rottami ferrosi attraverso i valichi ferroviari di Gorizia e Villa Opicina e quello stradale di Valico Sant'Andrea, lungo la frontiera orientale italiana: oltre 15mila tonnellate sono risultate radioattive e rispedite oltre confine.


giovedì 18 settembre 2008

uranio decafeinato, riciclaggio delle scorie radioattiva

Negli Stati Uniti si appresta a diventare operativo un sistema di riciclaggio delle scorie ispirato a un procedimento impiegato per ottenere il caffè decaffeinato, e finalizzato in questo caso a recuperare uranio arricchito dalle ceneri dei rifiuti radioattivi, per renderlo nuovamente utilizzabile come combustibile nei reattori delle centrali nucleari, contribuendo nello stesso tempo alla tutela dell’ambiente. Necessità che, insieme alle implicazioni economiche dell’opzione nucleare, fa da sfondo anche oltreoceano al dibattito su questa fonte energetica. Messo a punto nel corso di vent’anni da Chien Wai, professore di chimica dell’Università dell’Idaho, il procedimento si serve di un fluido supercritico, nella fattispecie l’anidride carbonica, per dissolvere metalli tossici. La sostanza impiegata a tale scopo viene infatti portata a temperatura e pressione alle quali presenta proprietà tanto di gas quanto di liquido: quando la pressione viene poi riportata a valori normali, l’anidride carbonica diventa un gas ed evapora, lasciando dietro di sé solo il metallo estratto, grazie al fatto che nello stato supercritico la sostanza può muoversi come un gas all’interno delle ceneri, e dissolvere i composti agendo come liquido. Si tratta per l’appunto di una tecnologia impiegata per decenni per rimuovere la caffeina dal caffè senza pregiudicarne l’aroma, dato che non richiede l’uso di solventi. Circa il 10 per cento del peso delle ceneri radioattive è rappresentato da uranio arricchito riutilizzabile, del valore di milioni di dollari, che attende dunque di essere recuperato. Secondo le previsioni, un impianto basato su questa tecnologia entrerà in funzione negli Stati Uniti nel 2009, e Wai è convinto che questo sistema sia solo all’inizio: egli sta infatti lavorando per renderlo ancora più ecocompatibile, trovando il modo di riciclare altri tipi di rifiuto radioattivo.


Se dal punto di vista scientifico si tratta di un processo già noto, la novità consiste piuttosto nell’uso di un fluido supercritico applicato alle ceneri dei rifiuti radioattivi. Esiste una regione, definita di supercriticità, nella quale i fluidi, in determinate condizioni di pressione e temperatura, sono gas che si comportano da liquidi, facendone propria la densità. L’anidride carbonica, in particolare, viene impiegata perché svolge questa funzione a pressioni modeste e facilmente raggiungibili.

I rifiuti radioattivi contaminati, se sono bruciabili, vengono inceneriti per ridurne il volume, ma le ceneri sono ancora un rifiuto, che si può ulteriormente ridurre estraendone l’uranio arricchito, un prodotto pregiato perché si usa nei reattori nucleari, e il cui smaltimento è sempre un problema dato che, essendo materia prima per un possibile uso non pacifico, deve avvenire in condizioni sorvegliate che generano dei costi. Evidentemente, perché l’operazione sia davvero conveniente, l’impianto che si pensa di realizzare negli Stati Uniti dovrà avere un costo minore del valore dell’uranio arricchito che si prevede di recuperare.

I ricercatori statunitensi pensano di poter andare oltre il recupero di uranio arricchito.
Questo sarà possibile perché non è l’anidride carbonica supercritica a dissolvere direttamente l’uranio, ma il legante, una molecola che circonda l’atomo di uranio permettendone l’estrazione. Cambiando opportunamente legante, si possono estrarre selettivamente altri elementi, tra i quali il plutonio, che si ricicla nei reattori ora disponibili.

venerdì 12 settembre 2008

idrogeno biologico, microalga Chlamydomonas

Grazie alla ricerca applicata condotta dal gruppo di lavoro del prof. Giovanni Giuliano dell’Enea, i cui risultati sono stati pubblicati da Plos One, rivista “open access” della Public Library of Science, nei laboratori di Biotecnologie è stata ottenuta una nuova varietà della microalga “Chlamydomonas”, che può illuminarsi e spegnersi grazie all’aggiunta di sali al mezzo di coltura.

I ricercatori hanno trasferito in questa alga di acqua dolce, che diversamente da altre alghe marine non ha luminescenza propria, il gene della luciferasi che rende luminescente la “Renilla” (un’alga conosciuta come “viola marina”). Il gene viene attivato da una sorta di “interruttore genetico” (detto promotore), azionato con l’aggiunta di un sale comune al mezzo di coltura. Aggiungendo poi un secondo sale antagonista, l’alga si “spegne”, proprio come un normale interruttore.

La quantità di sali necessaria è bassa, e quindi il costo è compatibile con grossi impianti di coltura che permettono grandi produzioni. Le microalghe “modificate” convertono l’energia solare con un’efficienza molto più alta delle piante terrestri e sono in grado di “fissare” la CO2 proveniente dagli impianti industriali, contribuendo ad una mitigazione dell’effetto serra e producendo biocombustibili innovativi: biodiesel e idrogeno. La ricerca è stata appunto finanziata del Ministero per l’Università nell’ambito del progetto “Produzione biologica di idrogeno”: questa scoperta infatti apre nuove prospettive nel campo dei biocarburanti, senza ripercussioni sul mercato dei prodotti alimentari.

mercoledì 10 settembre 2008

biocarburanti, scorie agricole per la produzione di etanolo cellulosico

Usare gli scarti agricoli e la cellulosa di piante che non siano il mais e gli altri cereali. Da Israele arriva una nuova tecnologia per produrre biocarburanti senza affamare il mondo


Mangiare o guidare? L’ultimo rapporto della Banca Mondiale, anticipato dal quotidiano britannico «The Guardian», ha messo una pesante ipoteca sui biocarburanti, che fino a pochi mesi fa sembravano l’alternativa più ragionevole al caro-petrolio. Il 75% dell’aumento dei prezzi degli alimenti nell’ultimo anno è attribuibile proprio all’esplosione delle coltivazioni per produrre biofuel, a scapito delle derrate alimentari. Il problema dell’energia si scontra, inevitabilmente, con quello ben più grave della fame nel mondo.

Lester Brown, autorevole ambientalista dell’Earth Policy Institute, avverte che «la competizione tra gli 800 milioni di automobilisti del mondo che vogliono mantenere la loro mobilità e i due miliardi di poveri che vogliono semplicemente cercare di sopravvivere sta diventando un problema sempre più drammatico».

Resta il fatto che i vantaggi di sostituire la benzina con i carburanti a base di etanolo sono molteplici: riduzione dell’inquinamento dell’aria, diminuzione nella produzione di gas serra, vantaggi geopolitici e di sicurezza energetica. Il problema è come ottenere l’etanolo necessario senza depauperare la produzione agricola. La soluzione potrebbe arrivare dalla valle di Arava, in Israele, dove Elaine Solowey, una ricercatrice all’«Arava Institute for Environmental Studies» vicino ad Eilat ha sviluppato una nuova tecnologia per produrre carburante dalle scorie agricole invece che dai prodotti alimentari. Il problema principale delle scorie è che contengono molta cellulosa e non solo amidi e zuccheri. Solowey ha sviluppato un metodo chimico per trasformare la cellulosa in zuccheri semplici, da cui si distilla l’etanolo. Questo metodo permette anche di sfruttare sia il legno sia le fronde di palma.

Formati sostenibili
Le scorie agricole per la produzione di etanolo cellulosico sono abbondanti. Si possono coltivare piante selvatiche in formati sostenibili, sfruttando risorse idriche sottoutilizzate, come l’acqua di scolo o l’acqua grigia non di fogna. La valle dell’Arava si presta a questo tipo di coltivazioni. Con 350 giorni di sole pieno all’anno, un inverno mite, acqua salmastra sotterranea e un team di agricoltori e ricercatori specializzati ben addestrati, la valle è un laboratorio ideale. Il clima arido e tropicale permette alle piante tolleranti all’acqua salmastra e ricche di cellulosa di crescere con estrema rapidità.

Ma l’Arava potrebbe anche facilmente adattarsi al biodiesel, principale alternativa all’etanolo. Il biodiesel può essere ricavato da molte piante che producono olio. Non ha bisogno di fermentare, a differenza dell’etanolo proveniente da amido o zucchero, e non necessita nemmeno del lungo e complicato processo di idrolisi acida o di decostruzione enzimatica prima della fermentazione per la produzione di etanolo cellulosico.

Quantità commerciali
Il valore aggiunto derivato dalla coltivazione di quantità commerciali di colture per l’energia nell’Arava potrebbe essere enorme, facendo della regione addirittura una nuova Silicon Valley. La produzione di etanolo su larga scala basata sulle colture agricole può avere un forte impatto sull’intera economia della regione, mentre le informazioni ottenute in questo progetto potrebbero portare all’obiettivo definitivo: trasformare l’intera regione in un’economia energetica autonoma, economica ed ecologica. Non soltanto: i risultati della ricerca e della sperimentazione, ovviamente, saranno utili per la produzione sostenibile di colture per l’energia in altre regioni marginali ed aride in tutto il mondo.

L’Arava Institute è situato nel Kibbutz Ketura, a mezz’ora da Eilat, e ha una sede anche in Pennsylvania, negli Usa. È stato costituito nel 1996 dai membri del kibbutz sotto la direzione di Alon Tal, fondatore di Adam Teva V’Din, l’Unione israeliana per la difesa ambientale. «È stato costituito per creare una leadership ambientalistica nel Medio Oriente e per insegnare che la natura non ha limiti», spiega David Lehrer, direttore esecutivo dell’istituto.

Se il progetto di Elaine Solowey andrà a buon fine, davanti all’Istituto ci sarà la fila.