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martedì 30 giugno 2009

balene: Migaloo, l'unica balena bianca al mondo, Moby Dick esiste veramente


E' passata anche quest'inverno al largo della costa est dell'Australia la piu' famosa balena bianca al mondo, di nome Migaloo. Migaloo e' un maschio di megattera lungo 13 metri e si ritiene sia l'unico esemplare albino al mondo. Oggi 'Moby Dick' e' stato visto nuotare al largo di Port Macquarie, nord di Sydney, diretto verso il Queensland, dove e' stato dichiarato balena di speciale interesse, con il divieto di avvicinarsi a piu' di 500 metri, pena una multa pari a 9400 dlr.

Balena bianca a babordo. Migaloo, questo il nome del grosso cetaceo è stato avvistato, anche quest'inverno inverno (australe) a largo della costa orientale dell'Australia. Come ogni anno la moderna Moby Dick si sposta dalle acque antartiche ai mari tropicali, dove le femmine partoriscono, per poi tornare verso sud in ottobre e novembre. Migaloo (nome aborigeno per uomo bianco) è un maschio di megattera, o humpback, che si ritiene abbia circa 20 anni, è stato avvistato per la prima volta nel 1991. Molto probabilmente è l'unico esemplare albino di questa specie. Secondo gli scienziati ha una lunghezza di 13 metri e pesa circa 40 tonnellate. Si sa che è maschio perchè ''canta'', una caratteristica dei soli maschi di megattera. A scorgere per primi Migaloo sono stati i passeggeri di un battello per turismo subacqueo, e lo skipper Shane Down ha detto alla radio Abc che l'incontro è durato 15 minuti, mentre la balena si dirigeva lentamente verso nord, accompagnata da due "guardie del corpo", due balene di colore comune, una a ogni lato. In seguito la grossa massa bianca è stata vista muoversi nelle acque del nord Queensland, al largo di Cape Tribulation e a nord di Port Douglas, non lontano dalla Grande Barriera corallina.
Secondo l'Organizzazione per il salvataggio e la ricerca dei cetacei (Orca), si stima che in questa stagione stiano migrando verso le acque calde del nord oltre 3.000 balene di diverse specie. In primavera poi i grandi cetacei e i loro piccoli affronteranno il viaggio verso i mari antartici a sud, ricchi di krill, i minuscoli crostacei di cui si alimentano.



influenza suina: il virus secondo uno studio sarebbe nato nel 1918


L'influenza suina affonda le sue radici nel lontano 1918. Lo sostengono esperti Usa dell'Universita' di UPittsburgh. Secondo uno studio, pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine, il virus H1N1 avrebbe avuto origine da una malattia dei maiali che nel 1918 comparse a una fiera di animali in Iowa. Da allora si sarebbe rimescolato almeno 4 volte con altri virus influenzali 'estinguendosi' per brevi periodi per poi ricomparire un po' trasformato.
fonte:
(ANSA)

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INFLUENZA SUINA: NUOVA INFLUENZA, 6 NUOVI CASI IN ITALIA


Il virus A/H1N1 della nuova influenza ha contagiato 70.893 persone nel mondo, facendo 311 morti. E' l'ultimo bilancio diffuso dall'Organizzazione mondiale della sanita'.

Sono stati confermati oggi altri 6 casi di positivita' alla nuova influenza umana A/H1N1 in Italia. Ne da' notizia il Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Il primo e il secondo caso sono stati notificati dalla regione Emilia Romagna e riguardano una donna di 38 anni (ha presentato i sintomi il 25 giugno scorso, e' stata sottoposta ad isolamento domiciliare ed e' in buone condizioni di salute) ed una donna di 46 anni (che ha presentato i sintomi il 25 giugno scorso, e' stata ricoverata in ospedale, dove e' stata sottoposta a terapia con antivirali ed ora sta bene). Il terzo e il quarto caso provengono dalla regione Lazio e sono relativi ad un uomo di 38 anni (proveniente da New York, ha presentato i sintomi il 20 giugno scorso, e' stato ricoverato per accertamenti e quindi posto in isolamento domiciliare e ora sta bene) ed una donna di 37 anni (proveniente dagli Stati Uniti, ha presentato i sintomi il 18 giugno scorso, e' stata ricoverata per accertamenti ed in seguito posta in isolamento domiciliare: le sue condizioni di salute sono buone). Il quinto caso e' quello di un bambino di 10 anni della regione Emilia Romagna (rientrato da Londra lo scorso 28 giugno e ricoverato in ospedale per accertamenti il giorno 29 e ora sta bene), mentre il sesto caso e' stato segnalato dalla regione Sicilia (si tratta di un ragazzo di 18 anni, rientrato da un viaggio in Spagna e Regno Unito, che ha presentato i sintomi il 24 giugno, e' stato ricoverato in ospedale, da cui e' stato dimesso in buone condizioni di salute).
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lunedì 29 giugno 2009

co2: ANCHE CON STOP CO2 LIVELLO MARE SALIRà DI 25 METRI


Le fluttuazioni del livello del mare di oggi assomigliano a quelle di 3,5 milioni di anni fa. E anche se la CO2 si fermasse ai livelli attuali, il mare continuerebbe a salire di circa 25 metri rispetto a oggi. A dirlo, questa volta, e' la 'storia' geologica sulla base delle concentrazioni di CO2 e delle glaciazioni. Questo quanto emerge da uno studio pubblicato sulla rivista Nature Geoscience, fatto dal Centro nazionale di oceanografia di Southampton (Nocs), insieme con l'universita' di Tubinga, in Germania, e di Bristol, grazie alla ricostruzione delle fluttuazioni del livello del mare nel corso degli ultimi 520 mila anni. Lo studio rivela un rapporto sistematico tra temperatura globale e concentrazioni di CO2 e modifiche al livello del mare nel corso degli ultimi cinque cicli glaciali. La proiezione di questo rapporto con le concentrazioni di CO2 di oggi danno come risultato un innalzamento di 25 metri del livello del mare rispetto all'attuale. Cosa che e' in accordo con il livello del mare di 3-3,5 milioni di anni fa, quando le concentrazioni di CO2 erano simili a oggi (387 parti per milione). Il confronto dei dati di questa ricerca con i dati sul clima globale suggerisce che anche stabilizzando a oggi i livelli di CO2 l'innalzamento del livello del mare, nei prossimi due millenni, potrebbe essere superiore a quello delle proiezioni a lungo termine dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) che parlano di circa 7 metri. Non e' possibile comunque conoscere l'aumento totale del livello del mare riseptto al riscaldamento globale, perche' lo scioglimento dei ghiacci e' un processo lento, anche quando la temperatura sale rapidamente. Cosi' le attuali previsioni di innalzamento del livello del mare per il prossimo secolo considerano soltanto la quantita' di ghiaccio che e' possibile verificare si sia sciolta fino a quel momento. ''Il rapporto tra emissioni di CO2 e temperatura e il livello del mare - dice Eelco Rohling dell'universita' di Southampton - offre un modello per un futuro sostenibile. Anche se volessimo contenere tutte le emissioni di CO2 di oggi, e stabilizzarle al livello moderno, il livello del mare continuerebbe a salire di circa 25 metri rispetto a quello presente, passando a un livello simile a quello misurato 3,5 milioni di anni''.

Insetticidi: pericolo per le apiculture


Da un anno sono sospese dal Ministero alcune potenti sostanze neurotossiche utilizzate nel trattamento dei semi di mais, una delle cause, secondo molti, del drammatico spopolamento degli alveari. Contro questa decisione hanno ricorso prima al Tar e poi al Consiglio di stato la aziende che le producono. L’andamento primaverile degli alveari ha confermato pienamente il micidiale effetto.

È importante sapere che questi insetticidi uccidono non solo le api ma anche tutti gli insetti impollinatori che visitano i fiori. Uccidono in pratica tutta l’entomofauna utile che viene a contatto con questi agrofarmaci quando vengono spruzzati nell’ambiente oppure, essendo sistemici ed avvelenando la pianta, quando raccolgono il nettare e il polline dai fiori delle piante trattate. Il provvedimento ministeriale, trattandosi di una sospensione, scadrà il prossimo settembre.

«È indispensabile che questo assuma il carattere di un definitivo divieto», ha detto Andrea Raffinengo, originario di Mombaldone e membro di Apromiele ed Unaapi, l’unione che riunisce le tre più grandi associazioni di categoria di Piemonte, Lombardia ed Emilia Romagna. «Non sono solo le api infatti ad essere a rischio estinzione. Tutti gli insetti impollinatori che visitano i fiori quest’anno sono stati risparmiati».

La zona di Acqui è strettamente legata all’attività di questi piccoli insetti, e basta pensare alle prime conseguenze di una loro drastica riduzione nel numero per sentirsi scoraggiati. Ad esempio tutta la flora spontanea si troverebbe ko e tra queste piante si perderebbe anche il biancospino, elemento fondamentale per la produzione della rinomata Robiola di Roccaverano. Quindi, niente insetti, niente frutti e niente semi. Oltre agli agricoltori gli insetti sono indispensabili anche per chi ha un piccolo orto familiare o un frutteto. Le piante spontanee che coprono i pascoli e che caratterizzano molti prodotti tipici hanno bisogno degli insetti per riprodursi. Lo stesso per il trifoglio, l’erba medica, la lupinella. I residui di questi insetticidi si disperdono nell’ambiente anche al momento della semina contaminando la rugiada del mattino, l’acqua delle pozzanghere e dei fossi che le api, ma non solo, possono poi bere.

Nell’area del basso Piemonte, con una buona incidenza dell’acquese, attualmente si trovano 300 apicoltori per un totale di famiglie di api che si aggira intorno alle 4.000 unità. «I dati risalgono al censimento del 31 dicembre 2008 – spiega ancora Raffinengo – Ovviamente non tengono conto di quei piccoli apicoltori che magari possiedono qualche arnia per hobby e che naturalmente non censiscono».
E parte un appello accorato: «Chiediamo agli imprenditori agricoli che dovessero avere in magazzino scorte di sementi conciate con queste sostanze ora sospese di non utilizzarle».

RISCALDAMENTO GLOBALE: il Mediterraneo soffoca, La temperatura in superficie e' aumentata di un grado in 30 anni.


Sempre piu' caldo e acido, con una proliferazione di mucillagini dall'Adriatico al Tirreno: a lanciare l'allarme e' Greenpeace. L'associazione ambientalista ha presentato un inedito dossier dal titolo 'Un mare d'inferno'. Dal rapporto emerge che il Mediterraneo soffoca e si presenta ogni estate con un malanno piu' o meno grave. E a rischio oltre all'ambiente sono anche la nostra sicurezza alimentare e il turismo. La temperatura in superficie e' aumentata di un grado in 30 anni.

Greenpeace lancia oggi il rapporto ''Un Mare d'Inferno - il Mediterraneo e il cambiamento climatico'', che conferma quello che anni di ricerche scientifiche ormai dimostrano in modo inequivocabile: anche il Mediterraneo sta cambiando, Alto Adriatico, mari del sud Italia (Sicilia, Puglia e Calabria), e Alto Tirreno (soprattutto Arcipelago Toscano e mar Ligure) registrano gia' gravi danni a causa del cambiamento climatico.

L'alterazione della concentrazione atmosferica della CO2 ha infatti effetti pericolosi anche sulla chimica degli oceani. Le acque del mare assorbono un quarto della CO2 che immettiamo nell'atmosfera - circa 20 milioni di tonnellate al giorno - e cio' provoca un aumento dell'acidita' degli oceani. L'effetto sui numerosi organismi marini dotati di uno scheletro o un guscio calcareo e' lo stesso di una goccia di succo di limone su un guscio d'uovo. La CO2 in acqua diventa acido carbonico e abbassa sia il pH (l'acqua diventa piu' acida) che la concentrazione dello ione carbonato, il ''mattone'' fondamentale per costruire lo scheletro e le conchiglie di numerosi organismi marini come coralli e conchiglie: tutte queste strutture diventano quindi piu' fragili e sensibili ad altri fattori d'impatto come l'innalzamento delle temperature e l'inquinamento.

Dall'inizio della Rivoluzione Industriale, l'acidita' degli oceani, intesa come concentrazione dello ione idrogeno (H+), e' aumentata del 30%, un cambiamento 100 volte piu' rapido di quello riscontrato negli ultimi milioni di anni.
E ancora, avverte il Rapporto: le temperature elevate ''aumentano in modo significativo'' l'infettivita' del batterio Vibrio shiloi, che risiede nel vermocane . Il batterio ''attivato'' causa danni notevoli non al vermocane ma al corallo Oculina patagonica, favorendone lo sbiancamento.

Un altro fenomeno sempre piu' frequente nel Mediterraneo e' quello delle mucillagini, sia nel Tirreno che in Adriatico che provocano un vero e proprio 'effetto soffocamento ' nei fondali.

Mentre in Adriatico si ritiene che la causa di questi aggregati sia la crescita esplosiva di alghe (diatomee e dinoflagellati) causati da improvvise variazioni del flusso del Po e quindi dei nutrienti immessi nel sistema , nel Tirreno si tratta di proliferazione di alghe filamentose.

Mentre si assiste a sempre piu' pesanti ''invasioni biologiche'' di specie che fino a pochi anni fa erano totalmente sconosciute nel Mediterraneo. Si tratta di specie invasive di provenienza subtropicale, penetrate da Gibilterra e soprattutto dal Canale di Suez. Questa ''porta artificiale'' e' stata aperta nel 1869 e (per la prima volta dopo qualche centinaia di migliaia, o forse milioni, di anni) ha messo in collegamento il Mediterraneo con il sistema Indo-Pacifico.
Ovviamente, alcuni invasori si sono subito ''precipitati'' nel Mediterraneo (si parla di ''specie lessepsiane'', dal nome dell'artefice della costruzione del Canale, Ferdinand Marie De Lesseps), ma il processo di colonizzazione del Mediterraneo da parte di queste specie aliene e' considerevolmente aumentato negli ultimi 15 anni per effetto di vari fattori, compreso il riscaldamento delle acque.

domenica 28 giugno 2009

SONNO: MENO ORE DI SONNO UGUALE PIù PESO


Verrebbe da pensare che dormire poco significhi bruciare più calorie. E invece si scopre che succede il contrario e, per svariati motivi, ridurre le ore di sonno fa guadagnare chili di troppo. Lo dimostrano alcuni studi presentati nel corso di «Sleep 2009» , il convegno delle Società di Medicina del Sonno tenutosi a Westchester, negli Stati Uniti.

APPETITO – Una prima ricerca condotta da ricercatori dell'università della Pennsylvania dimostra, su una novantina di volontari, che bastano 5 giorni di restrizione del sonno per guadagnare in media un chilo e 300 grammi di peso. Questo nonostante il 70 per cento dei volontari a cui è stato impedito di dormire a sufficienza abbia dichiarato di avere meno fame rispetto al solito. I partecipanti non avevano restrizioni dietetiche durante il periodo dello studio: mangiavano regolarmente 3 volte al giorno, in più alle una di notte era previsto un sandwich spezzafame. Difficile però credere che la colpa sia tutta di questo panino: come si spiega il risultato? «Crediamo che abbia “pesato” la sedentarietà e soprattutto la maggiore probabilità di cedere agli spuntini durante il tempo trascorso da svegli», ipotizza Siobhan Banks, coordinatore della ricerca. Una teoria che va d'accordo con i dati emersi negli anni scorsi: qualche tempo fa, ad esempio, il nesso fra perdita del sonno e aumento di peso fu dimostrato da studi dell'Associazione Italiana di Medicina del Sonno secondo cui dormire 4, 5 ore per notte riduce fino al 30 per cento la leptina in circolo, un ormone che tiene sotto controllo l'appetito, mentre aumenta la grelina, ormone che stimola la fame. Risultato, la voglia di piluccare qualcosa nelle ore passate da svegli diventa irresistibile. Non a caso negli ultimi dieci anni l’indice di massa corporeo medio è aumentato di un punto e mezzo e allo stesso tempo si sono ridotte progressivamente anche le ore di sonno, passando dalle 8-9 ore di riposo registrate negli anni ’60 alle 6-7 ore che si dormono in media oggi. «L'importante sarebbe fare attività fisica sufficiente a bilanciare l'introito calorico e scegliere, per i fuori pasto durante i periodi insonni, snack leggeri con pochi grassi e zuccheri», dice Banks.

ADOLESCENTI – Ma perché tendiamo tutti a dormire meno? Per gli adulti spesso si tratta di un adattamento per far fronte alle esigenze della vita lavorativa: in un mondo che va veloce e bombarda continuamente di stimoli, dormire nove ore a molti può ormai sembrare una perdita di tempo colossale. Nel caso degli adolescenti, secondo una ricerca dell'università dell'Arizona appena presentata al congresso statunitense la colpa è delle ore passate davanti a uno schermo e del caffè di troppo che molti bevono proprio per stare svegli. Amy Drescher osserva: «Bimbi e ragazzi che stanno ogni giorno ore davanti alla TV o al computer dormono di meno. E dormire poco aumenta tantissimo la loro probabilità di ritrovarsi sovrappeso o addirittura obesi». I motivi che legano la scarsità di sonno ai chili di troppo li spiega Maria Grazia Marciani, responsabile del Centro di Medicina del Sonno del Policlinico Tor Vergata di Roma: «Non dormire mai abbastanza fa saltare gli equilibri del nostro metabolismo. E non bisogna illudersi di poter recuperare il sonno perso di notte con pennichelle e pisolini diurni, perché il riposo notturno è quello più importante per garantire un corretto assetto ormonale, che dipende in larga misura dall’alternanza luce/buio e veglia/sonno. Modificare i ritmi e le abitudini può pregiudicare la produzione di ormoni come la melatonina, il cortisolo, la leptina e la grelina. La carenza di sonno – prosegue Marciani – incide poi sulla regolazione della glicemia aumentando la resistenza all’insulina e aprendo la strada allo sviluppo del diabete»

DORMIRE TROPPO – A sorpresa però c'è anche il rovescio della medaglia: secondo Nathaniel Watson, direttore dell'Istituto di Medicina del Sonno dell'università di Washington, pure dormire troppo potrebbe mettere in pericolo la linea. Watson ha studiato circa 1800 persone di cui ha calcolato l'indice di massa corporea chiedendo poi quanto dormissero abitualmente ogni notte: chi riferiva di dormire fra 7 e 9 ore per notte è risultato più magro rispetto a chi dormiva di meno, ma anche (seppure di poco) rispetto a chi dormiva di più. «Il motivo pare da ricercare in elementi ambientali e non genetici – dice Watson –. Abbiamo infatti condotto lo studio su coppie di gemelli e verificato che l'effetto dei geni sul risultato è praticamente nullo. Il peso, perciò sembra essere una funzione della quantità di sonno abituale». Né troppo, né troppo poco insomma: chi vuole restare in forma farà bene a puntare la sveglia in modo da dormire 7-8 ore per notte.

Energie rinnovabili: in arrivo norme più semplici


Stop alla burocrazia autorizzativa e largo alle rinnovabili. Pressato dai rimproveri dell'Unione Europea e dalle sollecitazioni degli operatori il governo si appresta a varare l'atteso decreto sulle nuove "Linee guida per l'autorizzazione alla costruzione e all'esercizio di impianti di produzione di elettricità da fonti rinnovabili”. La bozza è in mano agli operatori per una consultazione che si dovrà concludere entro il 3 luglio. Subito dopo – promette il governo - il varo.

Le nuove procedure, stando alla bozza, ruoteranno attorno al principio dell'autorizzazione unica e del silenzio-assenso da parte della Regione e della Provincia interessata. Con una decisa "blindatura" dai possibili (per non dire abituali) intralci amministrativi pretestuosi.
Una semplice dichiarazione di inizio attività (Dia) sarà sufficiente per avviare la realizzazione di impianti eolici fino a 60 kilowatt, fotovoltaici fino a 20 kW, idroelettrici fino a 100 kW, da biomasse fino a 200 kW e da gas di discarica e biogas fino a 250 kW. Entro 15 giorni dalla presentazione dell'istanza gli amministratori locali dovranno in ogni caso verificare la documentazione presentata, comunicando o il via libera all'opera o le eventuali contestazioni sulla documentazione. Trascorso il termine il via libera è automaticamente acquisito.

Il testo del decreto prevede esplicitamente un argine alle normative "locali" varate con i piani energetici regionali per limitare o sbarrare la strada agli impianti. Norme che in ogni caso non precludono – si legge nel testo – «l'avvio e la conclusione favorevole del procedimento». In questi, e comunque in tutti i casi controversi, le amministrazioni devono convocare entro 30 giorni la Conferenza dei servizi. Nessun margine, oltretutto, per giustificare dilazioni nei tempi con l'eventuale affastellarsi delle richieste: il procedimento di autorizzazione unica dovrà essere avviato sulla base dell'ordine cronologico di presentazione delle istanze. E nella bozza del provvedimento si sottolinea comunque che «non possono essere posti in via generale divieti o restrizioni di tipo programmatico per l'utilizzo di determinate fonti rinnovabili, mentre eventuali restrizioni o divieti di utilizzo, nel caso concreto ossia sul singolo progetto, devono fondarsi su criteri di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità da valutarsi nell'ambito del procedimento amministrativo».

Solo pochi giorni fa gli imprenditori del fotovoltaico associati al Gifi-Anie avevano sottolineato in una nota come i ritardi nella semplificazione normativa stessero producendo un pericoloso rallentamento proprio nelle regioni più favorevoli al solare ma più ostiche nella normativa: la Sicilia e la Basilicata.

ecomostri: IN ITALIA COSTE MANGIATE DA CEMENTO


Il mare del Bel Paese viene mangiato dal cemento che e' ''il primo nemico delle coste italiane: dal calcestruzzo illegale o 'legalizzato' in Italia si ''impasta senza sosta ai danni del mare''. Questo il dato che emerge dal dossier di Legambiente 'Mare Monstrum', presentato IL 26 GIUGNO a Roma in occasione della 24/a edizione di Goletta Verde, che conferma come il cemento sia ''divoratore di litorali''. Cosi', prosegue il rapporto, ''tra villette, alberghi e porti turistici sono migliaia i nuovi edifici che ogni estate spuntano lungo le coste italiane'': soltanto nel 2009 a causa del mattone selvaggio si sono registrate 3.674 infrazioni, con 1.569 sequestri e 4.697 denunce. Esempi di abusi sono quelli di Ischia, con 600 demolizioni da effettuare, e quello di Lampedusa, dove non esiste un piano regolatore. Mentre ''l'assalto ai nuovi porti'' deroga ai piani urbanistici per ''un business da milioni di euro'' ai danni delle coste. ''Abbattere diviene la parola d'ordine - dichiara Sebastiano Venneri, vicepresidente e responsabile mare di Legambiente - per vincere la guerra contro il cemento abusivo che nelle regioni del sud e' diventato una vera e propria piaga''. Legambiente ha stilato una top five degli ecomostri da abbattere: l'hotel di Alimuri a Vico Equense (Na), le palazzine di Lido Rossello a Realmonte (Ag), Palafitta a Falerna (Cz), il villaggio abusivo di Torre Mileto (Fg) e la ''collina del disonore'' a Pizzo Sella alle porte di Palermo.

Sono i numeri del calcestruzzo illegale o «legalizzato»nel cantiere Italia, dove si impasta senza sosta ai danni del mare: a ’dare i numerì è il rapporto ’MAre Monstrum 2009’ di Legambiente. Tra villette per le vacanze, grande alberghi a strapiombo sul mare o porti turistici con ristoranti e shopping center sono davvero migliaia i nuovi edifici che ogni estate spuntano lungo le coste italiane.

Ma il mare italiano non soffre solo il mal di cemento, è afflitto anche da tanti altri guai: scarichi illegali, cattiva depurazione, pesca di frodo, infrazioni al codice della navigazione sembrano, infatti, non passare mai di moda. Crescono, quindi, le infrazioni accertate che passano da 14.315 nel 2007 a 14.544 (+1,6), quasi 2 reati a chilometro lungo i 7.400 di costa del Belpaese. Aumentano anche le persone denunciate che da 15.756 arrivano a 16.012 (+1.6%) mentre, parallelamente, diminuiscono i sequestri che da 4.101 scendono a quota 4.049. A guidare la classifica dell'illegalità costiera è la Campania, con 2.776 infrazioni accertate dalle Forze dell'ordine e dalle Capitanerie di porto, seguita da Sicilia (2.286), Puglia (1.577) e Calabria (1.435).

Ambiente: novità legislative


È stata pubblicata la Legge 18 giugno 2009, n. 69, in vigore dal 4 luglio prossimo, in tema di "Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile."
Nel corpo di 72 articoli, il legislatore interviene in numerosi settori dell'ordinamento, apportando modifiche ed introducendo novità normative di rilevante importanza.
Il diritto ambientale rappresenta una delle materie maggiormente interessate dalla legge.
Infatti, l'art. 12 della legge prevede una delega al Governo, fino al 30 giugno 2010, per l'emanazione di uno o più decreti legislativi, recanti disposizioni integrative e correttive emanati ai sensi dell'art. 1 della legge 15 dicembre 2004, n. 308.
Basti pensare che i settori richiamati, i quali potranno essere interessati dalle novità, sono: la gestione dei rifiuti e bonifica dei siti contaminati, la tutela delle acque dall'inquinamento e gestione delle risorse idriche, la difesa del suolo e lotta alla desertificazione, la gestione delle aree protette, conservazione e utilizzo sostenibile degli esemplari di specie protette di flora e di fauna, la tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente, le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA), per la valutazione ambientale strategica (VAS) e per l'autorizzazione ambientale integrata QPPQ, la tutela dell'aria e riduzione delle emissioni in atmosfera.
Inoltre, lo stesso articolo 12 dispone che "I decreti legislativi ... devono altresì meglio precisare quali devono essere intese le caratteristiche ambientali ai fini dell'utilizzo delle terre e rocce da scavo per interventi di miglioramento ambientale anche di siti non degradati, nel senso di prevedere l'accertamento delle caratteristiche qualitative chimico-fisiche e geotecniche che devono essere compatibili con il sito di destinazione."
Il tema delle terre e rocce da scavo, recentemente interessato dalle modifiche introdotte dalla Legge 28 gennaio 2009, n. 2, si prevede sarà dunque oggetto di un nuovo intervento chiarificatore.
Importanti novità riguardano anche il procedimento amministrativo, con una serie di incisive modifiche alla legge 241/90.
Di rilevante interesse è sicuramente la previsione espressa dell'obbligo dell'Amministrazione di risarcire il danno ingiusto provocato dall'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (art. 2 bis legge 241/90).
In tema di appalti pubblici, anche al di sotto delle soglie di cui all'art. 122 c.9 e 124 c. 8 del d.lgs. 163/06, cade il divieto per le imprese facenti parte di un consorzio stabile, non individuate come consorziate esecutrici, di partecipare alla stessa procedura ad evidenza pubblica.
Infine, si segnalano anche le numerose novità in tema processo civile: dalla disciplina delle notificazioni alla competenza del Giudice di Pace, dal principio del contraddittorio al regime dell'incompetenza.
Avv. Antonio Giacalone – Studio Legale Rusconi & Partners
Il testo integrale della sentenza è disponibile, per gli abbonati, nella banca dati Codice di Ambiente e Sicurezza
DA: ILSOLE24ORE

RISCALDAMENTO GLOBALE: LIGURIA, il Mar Ligure si sta tropicalizzando


Una conferma che il Mar Ligure si sta tropicalizzando, con acqua sempre più calda che richiama pesci dai mari del Sud, arriva dalle immagini di un barracuda scattate nelle acque della Riserva Marina di Portofino.
Le ha impresse Vittorio Innocente, noto per i numerosi record in bicicletta sui fondali marini finiti sul libro dei Guinness. Durante un’immersione nell’Area Marina Protetta di Portofino, Innocente si è imbattuto ieri in un esemplare di barracuda, tipico pesce dei mari tropicali che da un pò di tempo dal Canale di Sicilia migra verso Nord.
Il fenomeno peraltro non è nuovo: da alcuni anni si nota la presenza di specie esotiche.
Segnalati nelle acque liguri, dove il pesce più noto era fino a poco tempo fa la grande cernia che si nasconde nella parete rocciosa a strapiombo sull’abisso, anche la `donzella pavonina´ e il `sarago faraone´, spiega Innocente, provenienti dalle acque delle coste africane attraverso il canale di Suez, ambientati bene nei fondali italiani. C’è anche il `pesce Luna´: solitamente di passaggio nel mese di agosto, invece lo si incontra già nel mese di aprile.

sabato 27 giugno 2009

CLIMA: Barack Obama E LA lotta ai cambiamenti climatici


Primo importante successo per la politica di Barack Obama sulla lotta ai cambiamenti climatici. La Camera dei Rappresentanti Usa ha approvato con 219 voti e 212 contrari una legge che pone severi limiti ai gas inquinanti e prevede una riduzione delle emissioni dell'83% entro il 2050. Il provvedimento, che ora passa all'esame del Senato per l'approvazione definitiva prevista in autunno, ha avuto il sostegno di solo otto deputati repubblicani e anche tra i democratici in 44 hanno votato contro. Il presidente americano ha parlato di "azione storica" e di "passo coraggioso e necessario che getta le premesse per la creazione di nuove industrie e milioni di posti di lavoro, riducendo la pericolosa dipendenza dal petrolio straniero". La legge impone alle compagnie americane - incluse le raffinerie e le centrali di energia - di ridurre le emissioni di gas inquinanti in una percentuale del 17% entro il 2020 e dell'83% entro il 2050, prendendo come punto di riferimento i livelli del 2005. Il pacchetto di 1.200 pagine prevede anche un passaggio graduale alle energia pulite. I critici sostengono che obiettivi cosi' drastici porteranno alla perdita di milioni di posti di lavoro nei prossimi anni.

venerdì 26 giugno 2009

INFLUENZA: STUDIO, RISCHIO PER UOMO DA VIRUS H1 E H3 DI ORIGINE ANIMALE


I ceppi influenzali H1 e H3 di origine animale potrebbero avere un potenziale pandemico in grado di superare le barriere immunitarie dell'uomo. I risultati di una ricerca congiunta condotta da un team di ricercatrici guidato da Ilaria Capua dell'Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie di Padova ed Elisa Vicenzi dell'Istituto Scientifico Universitario San Raffaele di Milano, pubblicata oggi sulla rivista americana, open access PLoS Pathogens, rivoluzionano uno dei capisaldi delle conoscenze sulla genesi delle pandemie influenzali.

Era opinione consolidata, e fino ad oggi indiscussa, che gli anticorpi indotti dai virus dell'influenza stagionale sarebbero stati protettivi nei confronti di virus H1 e H3 di origine animale. E' noto, infatti, che la maggior parte della popolazione mondiale possiede anticorpi contro i sottotipi H1 e H3 a causa di precedenti esposizioni a virus stagionali o grazie alle vaccinazioni. La ricerca dimostra che queste difese non proteggono dai virus H1 e H3 di origine animale.

Un virus pandemico per diffondersi nella popolazione deve trovare degli ospiti ''scoperti'' dal punto di vista immunitario; proprio per questo il virus dell'aviaria ha preoccupato molto la comunita' scientifica. Infatti, questo virus, pur essendo di un sottotipo diverso (H5) rispetto ai virus influenzali umani stagionali (H1 e H3), avrebbe trovato una popolazione vulnerabile dal punto di vista immunitario e percio' avrebbe potuto generare una pandemia. Cio' fino ad oggi non si e' verificato perche' il virus H5 non ha ''imparato'' a trasmettersi da uomo a uomo, mentre e' stato recentemente dichiarato pandemico, seppur a bassa mortalita', il virus suino H1N1.

giovedì 25 giugno 2009

ZANZARE E LARVE DI ZANZARA: la Francia dichiara guerra alle zanzare


A preoccupare gli esperti è la zanzare tigre che può trasmettere infezioni anche mortali, come la febbre di Dengue. L'esperto: ''La minaccia per la salute pubblica di tutta Europa è immensa'

Le autorità francesi hanno dichiarato guerra alle zanzare con una maxi-operazione insetticida aerea. L'offensiva, che coinvolge svariati squadroni di elicotteri, è scattata in seguito a un allarme sulla presenza di almeno sei miliardi di larve nelle paludi al confine franco-belga, a poco più di 150 chilometri dal costa meridionale britannica.
Ne dà notizia l'inglese Daily Telegraph.
Sembra che il moltiplicarsi di larve sia dovuto al clima particolarmente caldo e umido di quest'estate nella zona. Gli esperti sono particolarmente preoccupati per il rischio di un'invasione di zanzare tigre asiatiche - un insetto a strisce grande circa il doppio rispetto a una normale zanzara -, in grado di trasmettere il virus Chikungunya che ha già infettato diverse persone nel nord Italia.
Questa settimana gli elicotteri francesi stanno tappezzando l'area a rischio con sementi rivestite di batteri che sono innocui per qualsiasi essere vivente ma letali per le zanzare.
Una fonte delle forze dell'ordine ha riferito che l'operazione ha avuto successo, non riuscendo però a eradicare gli insetti.
"Dobbiamo restare vigili per evitare una nuova esplosione" ha detto la fonte, citata dal Telegraph.

mercoledì 24 giugno 2009

INFLUENZA SUINA: si cercano madre e figlia Usa. IL BILANCIO IN ITALIA SALE A 102 CASI ACCERTATI


Il virus A/H1NI della nuova influenza ha contagiato 55.867 persone in 109 Paesi e territori, facendo 238 morti. E' l'ultimo bilancio diffuso dall'Organizzazione mondiale della sanita'. Dal precedente bilancio dell'agenzia sanitaria dell'Onu, sono stati registrati ufficialmente 3.707 nuovi casi, sette dei quali mortali. Gli aumenti piu' importanti sono stati registrati in Argentina (+203, 2.123 casi, tra cui 7 decessi), Australia (+421, 2.857 casi, tra cui 2 decessi), Brasile (+203, 334 casi), Canada (+747, 6.457 casi, tra cui 15 decessi), Cina (+167, 906 casi), Messico (+223, 7.847 casi, tra cui 115 decessi), Nuova Zelanda (+128, 386 casi), Filippine (+101, 445 casi, tra cui un decesso). Thailandia (+185, 774 casi), Regno Unito (+339, 2.905 casi, tra cui un decesso) e Uruguay (+159, 195 casi).

Sono stati confermati IERI altri 6 casi di positivita' alla nuova influenza umana A/H1N1 in Italia: ne da' notizia un comunicato del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali. Il primo caso e' relativo ad un uomo di 29 anni, della regione Lazio, rientrato da un viaggio negli Stati Uniti. L'insorgenza dei sintomi risale al 18 giugno scorso: l'uomo e' stato visitato in ospedale e ricoverato: ora e' in buone condizioni. Il secondo caso e' quello di una donna di 49 anni, della regione Emilia-Romagna, rientrata dall'Argentina la settimana scorsa. L'insorgenza dei sintomi e' riferibile al 20 giugno scorso: la paziente e' stata visitata in ospedale, sottoposta agli idonei accertamenti di laboratorio e posta in isolamento domiciliare (la paziente e' stata trattata con farmaci anti-virali e ora sta bene). Il terzo, il quarto e il sesto caso sono relativi alla regione Sicilia e riguardano: un uomo di 34 anni, rientrato da New York (l'insorgenza dei sintomi risale al 19 giugno scorso: l'uomo si e' recato in ospedale per gli opportuni accertamenti del caso, e' stato ricoverato e ora sta bene), una donna di 35 anni, rientrata da New York (che si e' recata in ospedale per accertamenti dove e'stata ricoverata e che versa ora in buone condizioni di salute) e una donna di 28 anni, rientrata dagli Stati Uniti (che ha lamentato la comparsa dei sintomi il 20 giugno scorso: e' stata ricoverata in ospedale, ma ora sta bene). Il quinto caso riguarda una donna di 24 anni della regione Emilia Romagna, di rientro dal Peru' (la donna ha presentato i sintomi il 19 giugno scorso, e' stata ricoverata per accertamenti, e' stata poi stata sottoposta ad isolamento domiciliare ed a trattamento con farmaci anti-virali: ora sta bene). Salgono cosi' a 102 i casi accertati nel nostro Paese.

Sarebbero due turiste americane le persone che la polizia sta cercando perche' positive ai test per la nuova influenza. La visita e' stata fatta a Venezia, poi pero' madre e figlia sono partite senza attenderne gli esiti, purtroppo positivi. Le due sarebbero dirette a Roma. La Polfer ha prima fermato a Prato un treno, ma di loro non c'era traccia e il convoglio e' ripartito. Stessa cosa e' avvenuta dopo poco a Orte, anche in questo caso non sono state trovate
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Interleuchina-6: Gli introversi hanno nel sangue livelli più alti di Interleuchina-6

Anche se il detto mens sana in corpore sano è noto da secoli, la connessione tra mente e salute del corpo è più forte di quello che si potrebbe immaginare. Uno studio pubblicato sulla rivista Brain, Behavior and Immunity dimostra come la nostra capacità di resistere alle malattie infiammatorie e allo stress sia collegata non solo al genere e all’etnia, ma anche alla nostra personalità.

CONSEGUENZE DELLO STRESS - La ricerca, condotta dal professor Benjamin Chapman presso il Dipartimento di psichiatria della University of Rochester Medical Center (New York), ha evidenziato come una scarsa estroversione possa essere il segnale della presenza nel sangue di un alto livello di una sostanza chimica infiammatoria (Interleuchina-6), soprattutto nelle donne di mezza età. Il cervello di una persona sotto stress produce ormoni che, a lungo termine, potrebbero avere effetto sugli organi. Questo provocherebbe una reazione a catena del sistema immunitario, con il rilascio di sostanze che a loro volta scatenerebbero infiammazioni. Con conseguenze molto gravi, soprattutto in presenza di altre malattie come artrite reumatoide, Alzheimer o arteriosclerosi, andando a ostruire le arterie e causando ictus e infarti.

DONNE PIÙ A RISCHIO - Secondo i risultati della ricerca le persone estroverse, particolarmente ricche di vigore ed energia vitale, hanno livelli drasticamente più bassi di Interleuchina-6 (IL-6) nel sangue. Dai test, condotti su un campione di 103 cittadini di età superiore ai 40 anni, sembra inoltre che le donne e alcune minoranze etniche siano in media più vulnerabili allo stress, mostrando valori di IL-6 rispetto agli uomini caucasici. Nel primo caso a causa degli sbalzi ormonali tipici dell’età, nel secondo caso probabilmente per fattori esterni, come il dover affrontare manifestazioni di razzismo. «Il nostro studio ha fatto il primo importante passo nel dimostrare una forte associazione tra una parte dell’estroversione e un composto chimico specifico, collegato allo stress» dichiara Chapman. «Il prossimo passo sarà dimostrare se l’uno è la causa dell’altro».

ENERGIA VITALE INNATA - Gli scienziati infatti non hanno ancora dimostrato che l’introversione è la causa dell’infiammazione. Potrebbe essere anche il contrario. «Se fosse l’attività dovuta a un carattere introverso a causare l’infiammazione, noi potremmo concepire dei trattamenti per aiutare i pazienti ad alto rischio e diventare più coinvolti nella vita, per difendersi dalla malattia». Parte della terapia potrebbe essere rappresentata dall’esercizio fisico. Ma non sarebbe una risposta completa: «Oltre all’attività fisica - spiega Chapman - certe persone sembrano avere questa energia innata, diversa dal tenersi in esercizio, che li rende intrinsecamente coinvolti nella vita». Come suggerisce lo studioso, sarebbe interessante riuscire a mettere a punto una tecnica per incrementare nelle persone questo tipo di disposizione d’animo.

BALENE: PICCOLI CETACEI DIMENTICATI


Le piccole balene stanno scomparendo dagli oceani e dai corsi d'acqua di tutto il mondo, vittime degli attrezzi da pesca, dell'inquinamento e della perdita degli habitat, e la situazione e' aggravata dalla mancanza di puntuali misure per la loro conservazione paragonabili a quelle sviluppate per le grandi balene.

Mentre le grandi balene oggi sono relativamente protette perche' interessate dalla moratoria internazionale sulla caccia commerciale alle balene, di fatto dal 1986 la caccia ai piccoli cetacei e' continuata in tutto il pianeta, senza essere gestita ne' controllata a livello globale dalla comunita' internazionale.

E' quanto afferma il nuovo studio WWF ''I piccoli cetacei: le balene dimenticate'', presentato oggi a livello internazionale mentre a Madeira, Portogallo, e' in corso l'International Whaling Commission (IWC) che si concludera' venerdi' 26 giugno.

Lo studio dimostra che le attuali inadeguate misure di conservazione stanno spingendo verso l'estinzione i piccoli cetacei - delfini, focene e piccole balene come il delfino dell'Irrawaddi o il platanista del Gange - perche' la loro sopravvivenza e' messa in ombra dagli sforzi fatti per salvare i loro ''fratelli'' maggiori.

''Anche se le specie di grandi cetacei presenti al mondo non sono certo al sicuro e richiedono ancora un serio sforzo di conservazione, la situazione e' ancora piu' critica per molte delle specie piu' piccole e quasi dimenticate - ha dichiarato Massimiliano Rocco, responsabile Specie del WWF Italia. Per esempio, la caccia di almeno 16.000 focene di Dall ogni anno in Giappone e' oramai piu' che insostenibile e rischia di compromettere seriamente la sopravvivenza di questa specie. Cio' nonostante molte delle nazioni favorevoli alla caccia alle balene che questa settimana stanno partecipando all'International Whaling Commission (IWC) non accettano di discutere la conservazione dei piccoli cetacei.

Il WWF ricorda che i piccoli cetacei svolgono un ruolo fondamentale per l'ambiente, stabilizzando l'ecosistema e assicurandone la salute e la produttivita'. Essi sono anche responsabili del piu' proficuo settore del ''whale and dolphin watching'', ovvero l'avvistamento di balene e delfini, che ogni anno genera un traffico di oltre 1,5 miliardi di dollari.

''E' ora che l'IWC e i suoi membri si assumano la piena responsabilita' per la conservazione futura di tutte le balene, grandi e piccole. L'IWC - e il mondo intero - devono smettere di ignorare i piccoli cetacei esistenti al mondo prima che sia troppo tardi per molti di loro'' ha continuato Massimiliano Rocco.

Buste di plastica: addio nel 2011


Proroga di un anno (dal primo gennaio 2010 al primo gennaio 2011) per far scattare il divieto di commercializzazione "di sacchi non biodegradabili per l’asporto delle merci", cioè i sacchetti di plastica. È quanto prevede la bozza del decreto milleproroghe che arriverà venerdì in consiglio dei ministri. La norma era inserita nella Finanziaria 2007 e mirava a "giungere al definitivo divieto, a decorrere dal primo gennaio 2010, della commercializzazione di sacchi non biodegradabili per 1’asporto delle merci che non rispondano entro tale data, ai criteri fissati dalla normativa comunitaria e dalle norme tecniche approvate a livello comunitario".

martedì 23 giugno 2009

INFLUENZA SUINA: NUOVA INFLUENZA, ANCORA 8 CASI IN ITALIA, ORA SONO 96. 52.168 NEL MONDO


Sono stati confermati nel pomeriggio di ieri altri 8 casi di positivita' alla nuova influenza umana A/H1N1 in Italia.
I primi 4 casi, tutti nella Regione Lazio, sono relativi a una donna di 21 anni che e' stata in contatto stretto con un caso confermato in Italia. La donna si e' recata in ospedale dove e' stata visitata e sottoposta ad isolamento domiciliare; una donna di 27 anni rientrata da un viaggio negli Stati Uniti; un uomo di 30 anni di ritorno da un viaggio negli Stati Uniti; una donna di 31 anni. Le loro condizioni di salute sono buone. Altri 2 casi sono relativi alla Regione Toscana e riguardano un uomo di 27 anni rientrato da un viaggio negli Stati Uniti e un uomo di 39 anni rientrato da un viaggio da vari Paesi esteri. Entrambi godono di buone condizioni di salute.
Il settimo caso si e' verificato nella Regione Sicilia e riguarda un ragazzo di 24 anni rientrato da un viaggio negli Stati Uniti e nel Messico. Il giovane si e' recato in ospedale dove e' stato ricoverato. Attualmente si trova in isolamento domiciliare. Le sue condizioni di salute sono buone.
L'ottavo caso si e' verificato nella Regione Emilia Romagna e riguarda un bambino di 12 anni rientrato da un viaggio in Argentina. Il bambino e' stato portato in ospedale dove e' stato ricoverato. Attualmente si trova in isolamento domiciliare. Le sue condizione di salute sono buone.
A livello internazionale i casi confermati di nuova influenza A/H1N1 sono complessivamente 52.168 e i decessi sono 231, IN ITALIA IL NUMERO SALE A 96.
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ENERGIA PULITA: USA, OBAMA, NUOVA LEGGE SU ENERGIA PULITA UN PASSO STORICO


Un passaggio ''storico'' che portera' ad una profonda trasformazione e alla creazione di ''un'economia dell'energia pulita''. Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha presentato cosi', nel corso di una conferenza stampa alla Casa Bianca, la legge sull'efficienza energetica chiedendo al Congresso di approvarla rapidamente.

''Sappiamo tutti perche' questo e' molto importante - ha spiegato -, la nazione che guidera' la creazione dell'economia dell'energia pulita sara' la nazione che guidera' l'economia globale nel 21esimo secolo''.

''Questo e' cio' che questa legge cerca di ottenere'' ha aggiunto, ''e' un provvedimento che aprira' le porte ad un futuro migliore per la nostra nazione. E questo e' il motivo per cui chiedo ai membri del Camera di approvarla''.

Gli incentivi previsti dalla legge, ha concluso Obama, ''renderanno finalmente l'energia pulita una fonte di energia profittevole. E questo portera' allo sviluppo di nuove tecnologie che porteranno a loro volta alla creazione di nuove industrie e a milioni di nuovi posti di lavoro in America. Posti che non possono essere portati all'estero''.

ENERGIA EOLICA: Basterebbe un sistema di turbine sul suolo americano per coprire il fabbisogno mondiale E avanzerebbe energia


Un recente studio condotto dai ricercatori di Harvard afferma che l’intero fabbisogno elettrico mondiale potrebbe essere soddisfatto dall’energia eolica. A costi competitivi e con tecnologie già disponibili.

L'umanità potrebbe sopravvivere utilizzando solo energia eolica. Ma c'è di più: basterebbe un sistema efficiente sul territorio americano per coprire l'intero fabbisogno mondiale.
Lo dice, e non è una provocazione, uno studio pubblicato (leggi il .pdf, in inglese) sulla rivista dell'Accademia Americana delle Scienze Pnas da Michael McElroy, docente della School of Engineering and Applied Sciences alla Harvard University di Boston.

40 VOLTE IL CONSUMO GLOBALE - Secondo il calcolo eseguito dagli esperti basterebbe una rete di turbine da 2,5 megawatt di potenza (posizionate in modo da non danneggiare l'ambiente, ovvero nei territori non forestali, dove non ci sono ghiacciai e in aree non urbane), che operino ad appena il 20% della loro capacità, per produrre un quantitativo di energia pari a oltre 40 volte il consumo globale corrente di elettricità, oltre cinque volte il consumo globale di energia in tutte le sue forme. L'energia in eccesso potrebbe anche farne scendere il prezzo, aprendo nuove prospettive ad altre tecnologie ecologiche, come le auto elettriche. Oggi l'eolico è pari al 42% di tutta la nuova capacità elettrica installata in Usa nel 2008 ma continua a costituire una frazione minoritaria della produzione complessiva di energia.

IL METODO DI CALCOLO - Lo studio è stato fatto sulla base di simulazioni dei campi di vento utilizzando dati forniti dal sistema Goddard Earth Observing System Data Assimilation System (GEOS-5 DAS). Sezionando il globo in aree di approssimativamente 3.300 chilometri quadri ciascuna, i ricercatori hanno calcolato la velocità dei venti in aree non urbane, non forestali e senza ghiacci. E così hanno individuato la quantità di elettricità potenzialmente prodotta dalle turbine, sulla base della velocità dei venti, della densità dell'aria, della distanza tra le turbine e della dimensione delle eliche. Dunque, conclude l'indagine, una rete di turbine da 2,5 megawatt di potenza che operino ad appena il 20% della loro capacità sarebbe sufficiente per produrre un quantitativo di energia sufficiente a coprire il fabbisogno globale.

L’Anev, Associazione Nazionale Energia del Vento, stima in 16.200 MW il potenziale eolico reale del NOSTRO PAESE , pari a circa il 6,72% dei consumi totali (attualmente è dell'1,1%). Non poco, se si pensa che sono l’equivalente del fabbisogno domestico di 25 milioni di persone, che permetterebbero il risparmio di 107 milioni di barili di petrolio ed eviterebbero l’emissione di 22 milioni di tonnellate di CO2.

lunedì 22 giugno 2009

lampadine a incandescenza FUORILEGGE GRADUALMENTE CON BENEFICI PER L'AMBIENTE


Cala il sipario sulle vecchie lampadine a incandescenza (si parte il 1° settembre con le 100 watt). Dopo 130 anni di onorato servizio – dal quel 1879, quando Thomas Alva Edison iniziò a commercializzarle – i bulbi di vetro contenenti un filo di tungsteno stanno per uscire di scena, messi al bando dall'Unione europea. Il motivo è uno solo: sprecano troppa energia. Una ricerca dell'European Companies Federation sostiene infatti che la sostituzione delle lampadine a incandescenza, se fosse realizzata entro il 2015 in tutto il Vecchio Continente, porterebbe alla riduzione di 23 milioni di tonnellate di anidride carbonica, con un risparmio di 7 miliardi di euro. In Italia, invece, la messa "fuori legge" delle vecchie luci permetterebbe di tagliare 3 milioni di tonnellate di CO2 e di risparmiare 5,6 miliardi di chilowattora all'anno, con un beneficio di oltre un miliardo di euro ogni dodici mesi.

Il nostro paese su questo tema si era mosso prima di altri, con un articolo ad hoc della Finanziaria 2008 (il numero 2), che al comma 163 prescriveva «il divieto a decorrere dal 1° gennaio 2011 di importare, distribuire e vendere lampadine a incandescenza». Un provvedimento che suscitò diversi malumori tra le imprese del settore, secondo le quali meglio sarebbe stata un'uscita di scena graduale di questa vecchia tecnologia. Poi lo "stralcio" di quel comma il 14 maggio scorso, quando la Commissione Industria e Senato ha rivisto le date per mandare in pensione le lampadine a incandescenza. Un'azione letta da alcuni come un passo indietro, una volta tanto che l'Italia, proprio su un tema ambientale, si era dimostrata lungimirante.

«Nessun passo indietro – fa sapere Patrizia Di Sano, presidente di Assil, l'associazione nazionale dei produttori d'illuminazione – ma un emendamento indispensabile in quanto il comma 163 dell'articolo 2 della Finanziaria era in palese contrasto con il regolamento 244/2009/Ce, già in vigore dal 13 aprile». Che tradotto significa: c'era una legge italiana in contrasto con una direttiva comunitaria «che anzi non aspetta il 2011 per mandare in soffitta le vecchie lampadine ma inizia a metterle fuori commercio già dal prossimo settembre». Se quindi la Finanziaria dell'ultimo governo Prodi proponeva un'uscita in blocco, anche se fra due anni, delle vecchie lampadine, la correzione di primavera dell'Esecutivo Berlusconi sembra introdurre il principio della gradualità. Ma è proprio così?

«La direttiva punta all'eliminazione progressiva delle vecchie lampadine – sostiene la Di Sano – e questo per consentire ai produttori di sviluppare per tempo tecnologie anche per le lampade di piccola taglia, tutelando allo stesso tempo il consumatore che si sarebbe trovato in difficoltà nella sostituzione di alcune tipologie di lampadine ad incandescenza». Da settembre, quindi, inizieranno a non essere più in vendita le luci con una potenza maggiore o uguale a 100 watt, poi dopo un anno saranno quelle da 75 watt a sparire, nel 2011 le 60 watt fino al blocco totale nel 2016.
Eppure nessuno dei produttori è contro questo cambiamento, almeno a parole. Anche perché la nuova tecnologia, fatta soprattutto dalle lampade fluorescenti compatte, potrebbe essere redditizia per loro. Un vecchio bulbo costa infatti un cifra non lontana da un euro contro i 7-15 euro delle luci di ultima generazione.

«Siamo pronti a questo cambio – racconta Roberto Barbieri, consigliere delegato Osram Spa, che in Italia ha un fatturato di circa 310 milioni di euro – e per noi la scommessa è anche sulle nuove alogene che coniugano un'ottima qualità della luce con un risparmio del 30% rispetto ai modelli del passato». Dello stesso parere Fabio Pedrazzi, direttore affari generali del gruppo Beghelli, che rimarca ancora una volta il tema dell'innovazione: «La sfida sarà migliorare sempre di più questi prodotti, perché le prime lampadine "verdi", qualche anno fa, avevano almeno due problemi: si accendevano lentamente e facevano poca luce, anche se portano a risparmi del 70-80%».
Ma c'è un paradosso: il mondo dell'illuminazione ecosostenibile se da un lato consente di risparmiare sui consumi, dall'altro pone il problema dello smaltimento, visto che le green lamp contengono piccole quantità di materiali tossici come il mercurio, «che con un solo milligrammo – spiegano i ricercatori dell'Università americana di Standford – può comunque contaminare quattromila litri d'acqua». Un problema che non nasconde Paolo Targetti, presidente dell'omonimo gruppo, che l'anno scorso ha chiuso i conti con ricavi a quota 300 milioni: «Se è vero che con queste nuove lampadine limiteremo le immissioni di anidride carbonica – sostiene Targetti – è vero anche che da un punto di vista ambientale il loro bilancio di sostenibilità non è poi così favorevole perché per produrle ci vogliono materiali più inquinanti, dalle polveri fluorescenti al mercurio. Ecco perché secondo noi il vero futuro dell'illuminazione sarà nei led». Peccato che oggi un 7 watt a led, che esprime la potenza di un 35 watt, costi 30-35 euro, «anche se dura 45mila ore, come spiega Aldo Bigatti, direttore Philips Lighting Italia – per una tecnologia che nel prossimo periodo si perfezionerà ancora». E così, forse, l'avventura di Mr. Edison, l'inventore-imprenditore che in vita sua depositò oltre mille brevetti, potrà dirsi definitivamente conclusa.
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Bluefin Tuna Massacre: Attivisti di Greenpeace contro il massacro del tonno rosso

Attivisti di Greenpeace, impegnati in un tour a bordo della nave Rainbow Warrior, sono stati violentemente aggrediti mentre cercavano di effettuare un' ispezione pacifica del peschereccio spagnolo «Cabo Tinoso Dos». Gli attivisti - riferisce l'associazione - sono stati strattonati e respinti dai pescatori del peschereccio spagnolo con gli idranti e una donna presa a pugni sul viso. Il tutto è avvenuto nel porto di La Valletta a Malta.

- L'aggressione - riferisce ancora Greenpeace - è cominciata all'apertura dello striscione «Bluefin Tuna Massacre» (massacro del tonno rosso) per evidenziare le attività di pesca non-sostenibile di tali imbarcazioni, parte di una flotta industriale che minaccia l'intera industria del tonno rosso. «Alcuni pescatori, dopo aver aggredito gli attivisti che in questo momento si trovano nel Mediterraneo per denunciare la pesca pirata, per scherno - racconta ancora l'associazione - si sono tirati giù i pantaloni mostrando il posteriore. Greenpeace chiede alle autorità locali di effettuare un controllo ufficiale della nave». La gestione del tonno rosso - spiega Greenpeace - è affidata alla Commissione Internazionale per la conservazione dei tonni dell'Atlantico (Iccat), un'organizzazione intergovernativa di cui l'Unione europea è membro attivo e influente. Oggi vige un paradossale «piano di recupero» che consente di pescare il 47% in più rispetto al limite massimo sostenibile». «La pesca eccessiva di questa flotta industriale, rischia di far scomparire completamente il tonno rosso - denuncia Alessandro Giannì, direttore delle Campagne di Greenpeace Italia - i Governi dovrebbero istituire riserve marine protette nelle zone di riproduzione delle specie per cominciare a dare una chance di recupero alla popolazione». Dal 2006, proprio gli scienziati dell'Iccat - ricorda Greenpeace - hanno raccomandato di non pescare al di sopra di 15.000 tonnellate e di proteggere le zone di riproduzione durante i mesi cruciali di maggio e giugno. La pescata effettiva per il 2007 è stata stimata a 61.000 tonnellate, il doppio del limite legale consentito per quell'anno, e più di quattro volte il livello raccomandato per evitare il collasso della popolazione.

INFLUENZA SUINA: NUOVA INFLUENZA, ALLERTA PER LE GRAVIDANZE. CRESCE IL CONDAGIO SIAMO A 44.287 CONTAGI IN TUTTO IL MONDO, 189 VITTIME.


In Italia sono saliti a 88 i casi confermati di contagio dal virus della nuova influenza A/H1N1. A livello internazionale i casi sono complessivamente 44.287 e i decessi sono 180.
Vittime sono state registrate Negli Stati Uniti (44 su 17.855 contagi), in Messico, (113 con 7624 contagi), Canada (12 con 4.905 casi), cile (2 con 3125 casi di contagio). Una vittima rispettivamente hanno riportato la Colombia (60 casi di contagio), l'Argentina (918 contagiati), la Costa Rica (149) e il Regno Unito (1752 contagiati).


Il momento più pericoloso è il terzo trimestre di gravidanza: allora il virus della nuova influenza A potrebbe dare origine a complicanze sia per la madre che per il feto. Come è successo a una donna di 38 anni, la prima paziente deceduta in Europa qualche giorno fa mentre era in cura al Royal Alexandra Hospital a Paisley, in Scozia, dopo aver partorito prematuramente. Anche il suo bambino, dopo pochi giorni, è morto: secondo i medici non per l’infezione da virus, ma perché prematuro. Il fatto che questa nuova influenza colpisca persone giovani, nonostante in generale comporti una mortalità addirittura inferiore a quella dell’ influenza stagionale, ha subito costretto i medici a pensare alle donne in gravidanza e a valutare la sicurezza dei farmaci antivirali (da somministrare come prevenzione o come terapia dell’infezione) in questa categoria di persone. Come hanno fatto un gruppo di ricercatori canadesi che hanno appena pubblicato le loro osservazioni sul Canadian Medical Association Journal.

SECONDA ONDATA - Attualmente il virus H1N1 sta continuando a circolare in molti Paesi del mondo tanto che l’Oms, proprio per l’estensione della sua diffusione (e non per la gravità) ha deciso di dichiarare pandemia e di elevare a 6, il massimo, il livello di allerta. I medici e i governi stanno valutando la possibilità di rendere disponibili farmaci e vaccini in previsione di una possibile seconda ondata dell’infezione da H1N1. Quest’ultima, nei Paesi occidentali, potrebbe verificarsi nell’autunno-inverno prossimi, associata all’influenza provocata dai soliti virus stagionali. E alcune categorie potrebbero rivelarsi particolarmente a rischio. . Il feto, infatti, possiede metà patrimonio genetico della madre e metà del padre che, per l’organismo materno, è un estraneo dal punto di vista immunitario e in qualche modo indebolisce le difese della madre.

SUGGERIMENTI DEI CDC - Proprio per questo i ricercatori hanno focalizzato la loro attenzione sulle donne in gravidanza in previsione di una nuova diffusione del virus H1N1. Secondo i Centers for Diseases Control di Atlanta ( i Cdc che tengono sotto controllo la diffusione delle malattie non solo in America, ma in tutto il mondo) il nuovo virus è sensibile agli antivirali oseltamivir e zanamivir che vengono raccomandati sia nella prevenzione che nella terapia dell’infezione da H1N1 nelle persone ad alto rischio di complicazioni, comprese le donne in gravidanza. Dal momento però che esistono più dati relativi alla sicurezza in gravidanza dell’oseltamvir rispetto allo zanamivirir , il primo è da preferire nel trattamento di queste persone, secondo quanto scrive, sul Canadian Medical Association Journal, Shinya Ito, capo della Divisione di Farmacologia clinica al SickKids Hospital di Toronto. Entrambi i farmaci sono comunque indicati anche in caso di allattamento al seno, perché soltanto piccole quantità passano nel latte materno.

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Alcol, in 6 minuti arriva al cervello e inizia a fare danni


I cambiamenti provocati a livello cerebrale sono in realtà di breve durata, dunque reversibili. Ma se il consumo è costante nel tempo, la capacità di recuperare diminuisce fino a sparire del tutto.

Dà alla testa e lascia il segno. All'alcol bastano appena 6 minuti per raggiungere il cervello e iniziare a far danni. Nelle donne ma anche negli uomini, da sempre considerati meno vulnerabili agli effetti dei drink ad alta gradazione. Eppure anche il cervello maschile è raggiunto in un lampo: 360 secondi, cronometro alla mano. A stabilirlo uno studio dell'Heidelberg University Hospital tedesco, che ha reclutato 15 volontari di entrambi i sessi sottoponendoli a una prova 'a colpi' di bicchieri.

I ricercatori hanno 'fotografato', attraverso risonanza magnetica, il cervello dei 15 intenti a sorseggiare alcol. Ognuno ha bevuto l'equivalente di due pinte di birra o tre bicchieri di vino. In pochi minuti, stando alle immagini scattate dagli studiosi, il cervello ha iniziato ad accelerare il passo, sospinto dallo zucchero contenuto dall'alcol anziché dal glucosio, suo alimento naturale. In altre parole, è come se il cervello, alle prese coi drink, mettesse il turbo, producendo tuttavia effetti dannosi.

La concentrazione di sostanze che proteggono le cellule celebrali, infatti, diminuisce - scrivono i ricercatori sul 'Journal of Celebral Flow and Metabolism' - all'aumentare dei livelli di alcol assunto. Le risonanze magnetiche realizzate il giorno successivo hanno tuttavia mostrato che i cambiamenti provocati dall'alcol a livello cerebrale sono in realtà di breve durata, dunque reversibili. Ma i ricercatori guidati da Armin Biller assicurano che non è sempre così. "Se il consumo di alcol aumenta ed è costante nel tempo - avvertono - la capacità del cervello di recuperare diminuisce fino a sparire del tutto". Con danni permanenti per chi non riesce a fare a meno dei drink.

FONTE:adnkronos.com

domenica 21 giugno 2009

MEDUSE: allarme è generalizzato, in parte giustificato

Torneremo a fare il bagno con costumoni ascellari, quelli che lasciano scoperti solo polpacci e braccia dal gomito in giù? Forse proprio grazie a loro i nostri nonni (che andavano comunque al mare molto meno di noi) non facevano tanto caso alle meduse che oggi guadagnano sempre più spesso l’onore della prima pagina. L’allarme è generalizzato e in parte giustificato.

La specie più fastidiosa è la Pelagia noctiluca, appena dieci centimetri di gelatina punteggiata di porpora: i suoi tentacoli, sottili come capelli, sono quelli che fanno male. Una scossa, una fiammata improvvisa fra una bracciata e l’altra. E si esce dal mare doloranti, con la pelle rossa come se fosse stata sferzata da un frustino. Una pelagia da sola non può fare molti danni, ma questa specie si muove in banchi di migliaia, anche milioni di esemplari: così un’intera marina può diventare all’improvviso impraticabile come la più infida delle paludi. Non importa che sia la spiaggia della Versilia, di Capri o la costiera del Gargano. Le meduse sono molto democratiche: colpiscono a Ladispoli come a Porto Cervo. E veniamo al dunque: da dove sono sbucate? Ci sono sempre state o sono frutto di un drammatico sconvolgimento degli equilibri ecologici? E soprattutto continueranno ad aumentare?

Le meduse ci sono sempre state: lo dicono pescatori e scienziati. Antonio Di Natale, biologo marino, ricorda che negli anni Sessanta capitava di non potere fare il bagno a Taormina per la grande quantità di meduse fino sulla spiaggia. Forse queste invasioni si sono accentuate per le conseguenze dei cambiamenti climatici, ma ne sappiamo ancora troppo poco per trarre conclusioni. Lo pensano anche Ferdinando Boero dell’università del Salento, uno dei maggiori esperti in materia (ha appena lanciato la campagna “Occhio alla medusa”: i bagnanti possono contribuire a compilare una mappa di quelle presenti nel Mediterraneo segnalandole a boero@unisalento. it), e Bruno Massa dell’università di Palermo, convinti che questi animali abbiano vita più facile e si riproducano meglio grazie alla diminuzione dei pesci. Le meduse e i pesci, allo stadio larvale e giovanile, mangiano lo stesso cibo, il plancton: se i pesci diminuiscono, le meduse (che non disdegnano anche uova e larve di pesci) ne hanno una maggiore quantità a disposizione.

Non solo acqua. Parenti dei coralli, le meduse sono fatte al novanta per cento di acqua. Ne esistono migliaia di specie diverse, non tutte urticanti, alcune possono superare i due metri di diametro con il loro ombrello e avere tentacoli di parecchi metri. Nel Mediterraneo, in particolare in Italia, le specie più diffuse sono la Rhizostoma pulmo (non punge), con un bordo viola scuro ben visibile e il diametro di 30-60 cm; la Cotylorhiza tubercolata giallastra (è bellissima e non fa niente), a forma di disco; le poco urticanti Aequorea e Aurelia aurita, che raggiunge i 30 cm di diametro e infine la Pelagia noctiluca, piccola (meno di 10 cm di diametro) e “bruciante”, un po’ rosa e luminescente di notte.

Un caso a parte è la Caravella portoghese Physalia physalis, seguita dai ricercatori dell’università di Lecce e ormai arrivata anche nel Mediterraneo centrale. Non è una vera medusa, ma un animale composto da diversi “individui”: uno assume la forma di una vescica piena di gas e galleggia in superficie; gli altri sono trasformati in tentacoli, lunghi fino a vari metri e pericolosi. La quantità del veleno che riescono a inoculare è fortemente urticante. Del tutto innocua, invece, la Velella, piccolo organismo viola scuro, erroneamente confusa con le meduse, che forma banchi molto estesi.

Nemiche al bagno. Banchi enormi di meduse e affini sono già stati avvistati nel Mediterraneo: sappiamo che si sposteranno secondo il capriccio delle correnti e dei venti, ma fare previsioni per il futuro più immediato è difficile. I banchi più grossi, come quello lungo dieci chilometri avvistato poche settimane fra la Liguria e la Corsica, sono formati da innocenti velelle. I più pericolosi, costituiti da pelagie, compaiono di solito in alto mare, molto lontano dalle coste. Il loro destino dipende dalle correnti marine e dai venti: potrebbero restare in alto mare o essere ammassati in pochi giorni sotto costa da una tempesta. Tutte le rive del Tirreno, dell’Adriatico e delle isole sono a rischio. La grande Caravella portoghese viene invece da Gibilterra: le coste più occidentali d’Italia, della Sicilia e della Sardegna (e anche Malta) sono o saranno raggiunte per prime. Molti di noi vorrebbero che il mare fosse solo un vascone d’acqua salata, possibilmente pulita. Non è così: il mare è un ecosistema vivo, pieno di organismi che garantiscono anche la nostra sopravvivenza. Le meduse fanno parte di questo equilibrio: dobbiamo accettarlo. Anzi, per riconciliarci con le “nemiche” dei nostri bagni, vale la pena di visitare gli acquari di Genova o di Cattolica, che ne ospitano moltissime specie, tutte bellissime. Da guardare e non toccare.

Rimedi in sei mosse.
Come reagire al tocco della medusa?
- Non farsi prendere dal panico. Se ci si trova in acque fonde o si è impegnati in un’immersione subacquea, guadagnare con calma la riva o un’imbarcazione.
- Sdraiarsi all’ombra, coprendosi per non sentire freddo. Se il malessere si accentua, ricorrere al Pronto soccorso balneare o al medico più vicino.
- Con una carta di credito, o una tessera sanitaria, raschiare la pelle per togliere i frammenti di tentacoli.
- Non usare acqua dolce per lavare la pelle ustionata. l
- Non passare disinfettanti sulla ferita, in particolare tintura di iodio. No anche ad aceto di vino o ammoniaca.
- Usare solo su consiglio medico le pomate antistaminiche che diminuiscono gonfiore, rossore e bruciore.
FONTE:corriere.it